
La storia di Rosalia Pipitone: un femminicidio di mafia e una storia in continua evoluzione
Sono le storie che fanno ancora paura ai mafiosi taglia il traguardo delle sessanta repliche nella città del suo autore Franco Bruno, regista e attore professionista ormai di grande esperienza. Dopo l'ultimo tour in Veneto e Trentino, lo spettacolo ritorna a Sciacca dopo anni e rappresentazioni in tutta Italia, dove ha fatto incetta di premi e riconoscimenti lusinghieri, ultimo fra i quali proprio qualche giorno fa: il Sipario d'oro di Rovereto.
Nato come corto teatrale, si è evoluto fino a diventare uno spettacolo completo non solo per una trasformazione scenica, ma soprattutto perché la storia, anzi la cronaca di questo evento delittuoso non ha ancora scritto la parola fine.
La vita e la morte di Lia Pipitone
Franco Bruno porta in scena la storia di Lia, figlia del mafioso Nino Pipitone, boss del mandamento palermitano dell'Acquasanta e legato ai vincenti, uccisa il 23 settembre 1983 durante una rapina. Una morte che potrebbe sembrare casuale e invece porta subito a sospettare un'azione mafiosa punitiva, addirittura ideata dal padre stesso.
Perché Lia è una figlia ribelle e libertaria, al punto di disconoscere e opporsi alla cultura mafiosa che regna nella casa dove è cresciuta. La ragazza mette in atto con il fidanzatino la classica fuitina siciliana e fugge dalla sua famiglia, evade dalle restrizioni di una mentalità che più che alle leggi dell'amore e della parentela ubbidisce a un altro tipo di famiglia che ignora ogni legame affettivo o di sangue, basandosi su una “pungiuta” e su un santino bruciato: quella dell'organizzazione mafiosa.

La versione del padre
Franco Bruno é il padre Nino che racconta com'era la sua bambina ribelle, la sua adolescente “scueta”, la sua ragazza artista e pur sempre degna dell'amore genitoriale. Nega ogni responsabilità e accusa chi sparge “filame” e calunnie, scagliandosi contro inquirenti e collaboratori. Nessuna disubbidienza, nessuna insubordinazione filiale, nessun disonore coniugale della figlia poteva indurlo a ordinarne la morte.
Nino Pipitone, boss imprenditore che all'epoca poteva essere considerato un colletto bianco, argomenta con colta, lucida e persuasiva dissertazione. A fargli da contraltare in scena c'è il suo picciotto, il gregario ubbidiente e acefalo impersonato dal bravo ed eclettico Nicola Puleo, che fornisce corpo e voce ai crudeli mafiosi collaboranti chiamati dai giudici a dare testimonianza (a completare il cast la voce fuori scena di Annalia Misuraca).
Ma il centro della narrazione di Franco Bruno rimane sempre la famiglia, nel senso ambiguo che si può intendere nell'ambiente dei protagonisti: famiglia consanguinea o famiglia mafiosa. Quale delle due famiglie è più vincolante? Qual è l'interesse da tutelare? Quale la famiglia da difendere dagli estranei?
L'evoluzione del testo teatrale e del caso giudiziario
Se lo spettacolo ha avuto una continua evoluzione nel testo, va detto che ancora ne potrà avere, dato che nonostante l'assoluzione di Antonino Pipitone dall'accusa di essere il mandante dell'omicidio della figlia, da poco l'inchiesta è stata riaperta per iniziativa del figlio di Lia, portando alla condanna a 30 anni di reclusione di due mafiosi di rilievo.
D'altronde non c'è il rischio di appesantire lo spettacolo teatrale. La sceneggiatura intensa, l'argomento gravoso, le interpretazioni sofferte non pesano sul pubblico perché Franco Bruno e Nicola Puleo hanno i numeri per intrattenere gli ascoltatori, sanno quando è necessario allentare la concentrazione regalando un attimo di ilarità, un'arguzia, un momento di ironia, un'invasione della platea per poi ritornare alla drammaticità della narrazione.
Chi ha ancora paura?
Parafrasando il titolo, queste storie purtroppo non fanno paura solo alla mafia, se è vero che lo spettacolo di Franco Bruno fa il pienone anche a Bolzano, mentre in Sicilia non si riesce a vederlo a teatro, né in forma ordinaria né in un appuntamento con una platea di studenti per una matinèe, il target forse ancora piú importante da raggiungere. Non c'é spazio per uno spettacolo di grande impegno civile e per far conoscere una storia di grande coraggio e libertà?